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Sensazione registrata da Morisil Namaglin, in concessione al Sensorium Privato della Società delle Sensazioni.
Ira. Sono abbracciata a lui, e sto aspettando il colpo che so che non tarderà.
E arriva. La rabbia crolla come un muro che d'improvviso si tramuti in acqua, e nella mia mente un'attimo di vuoto.
Paura. Sento freddo, un freddo esteriore, il corpo trema e brucia per la febbre che sento levarsi dal cuore. Un freddo interiore, il gelo del terrore che attanaglia la mente, si fa largo nel nulla.
Debolezza. Si fa strada nella carne, le ginocchia tremano e cedono - è più rapido della scorsa volta, mi brucia con la rapidità della fiamma sul lino.
Certezza. So cosa mi attende, e la consapevolezza di questo non fa altro che peggiorare la situazione: cerco di non darci peso, almeno nelle apparenze, ma come è possibile non farlo? Dico, cercando di rassicurare lui e me stessa, che non è nulla, che passerà presto.
Ma dentro di me la paura è incontrollata, sento il suo odore addosso a me, ne mio sudore. E' lei la bestia da affrontare, da guardare negli occhi - Oh! Già sento il loro sguardo di gelo, l'azzurro del ghiaccio più tagliente, su di me, che mi inchioda a terra e mi rende più inerme (più impotente) di un gattino appena nato. E' davvero così forte la sua stretta su di me? Penso, e tremo ancora di più. Non voglio morire, non ora! Non ora che ho trovato qualcosa di mio che mi spinga a vivere.
Sorpresa. Non L'avevo mai creduta così forte. Non credevo di tenerci così.
Mi stende sul letto, le coperte umide e pesanti graffiano la mia pelle in una sorta di ipersensibilità mai provata. Leggo la preoccupazione sui suoi occhi, ma in pochi attimi tutto si fa sfumato, confuso.
Incertezza. La lotta è iniziata, vincerò questa volta? E vincere cambierà qualcosa? O comunque è tutto preordinato… e Lei otterrà quello che vuole, sia che io viva o che io muoia?
Dolore. Il corpo comincia a reagire, mentre la mente è occupata da pensieri di morte. I crampi sconquassano la carne indebolita, tanto che è difficile respirare, figuriamoci urlare! E mente la mente urla, il corpo soffre. Sento, con una chiarezza agghiacciante, che si sfalda tutto dentro di me, sotto la mia pelle. I capillari esplodono, e il sudore della febbre comincia a portare a galla il rosso umore che è il suo emblema. Fiori scarlatti di sangue fuoriescono sulla mia pelle, inequivocabile segno del caos che essa nasconde al suo interno.
Lui cerca di far abbassare la febbre, il mio corpo scotta tanto, lo sento lucido e bagnato sotto le mie mani, che si stringono: l'istinto di rattrappirsi, di chiudersi, di annullare ogni stimolo, è troppo forte, come se ridurre la dimensione del mio corpo (della mia percezione) potesse ridurre in qualche modo il dolore. Ma è inutile, lo so.
Deliquio. Oh, è così dolce la confusione, quando raggiunge la mente! Ora è tutt'uno con il corpo, un ammasso confuso di cellule e pensieri, di dolore, di sollievo, di paura, di dolcezza. Ora lo sento il Suo abbraccio, come quando ero in fasce. Frammenti perduti di memoria tornano a mescolarsi, in un ribollire. Mi perdo nella sensazione - ora sono incerta, se volerLa scacciare, o se abbandonarsi completamente. In un minuscolo frammento di specchio in questo caos vedo me stessa riflessa: una bimba sperduta e spaventata. Ma quella non sono più io. In quello stesso momento percepisco, tra la miriade di sensazioni, la sua mano che stringe la mia - ora so di non essere sola. E' li per me, e io non sono l'ombra di nessuno, ora. Sono una persona completa.
Dolore, di nuovo. La confusione cessa, e con essa risorge la sofferenza, acuta, che riempie tutto il mio essere. Il terrore di quegli occhi, l'incertezza, la paura di morire, di svanire di nuovo nell'ombra, tutto viene cancellato, persino io. Il dolore solo, resta.
Vita. Cerco di sfuggire, di ripararmi, ma non è rimasto nulla con cui farsi scudo. La sensazione è troppo forte, soverchiante. Poi capisco: non c'è dolore senza vita. E finché c'è, non posso non esserci pure io. Sono io il dolore, ora.
Accettazione. Mi abbandono alla sensazione di dolore, non la rifuggo più. Ha dato nuove certezze, concrete, fisiche. Oh, quanto sono fisiche! Questo dolore sembra infinito, mille e mille aghi che trafiggono la carne dall'interno, ma ormai è in me. E' me.
Vita, di nuovo. Sento il suo respiro, il respiro del sonno agitato, accanto a me. E sento il Suo abbraccio che si fa più lieve, e mi abbandona, lasciando solo l'eco, un suono a cui il mio corpo vibra come le corde di un violino. Mi volto a fatica: ecco la fonte della mia completezza. Senza di essa, non avrei potuto superare la barriera del caos imposto dalla Peste, e accettarne le conseguenze. E' così dolce, il sapore del mio stesso sangue sulle mie labbra.
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