Osborn Thorngage

Osborn Thorngage

Generalità

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Nome: Osborn Thorngage
Razza: Halfling
Sesso: Maschio
Età: 47
Allineamento: Caotico Buono
Classe: Barbaro/Combattente Elementale/Campione di Gwynharwyf
Fazione: Libera Lega

Genesi
Osborn Thorngage è un personaggio giocante attivo sul sito di D&D 3.5e di planescape Sigil è possibile interagire direttamente con il personaggio iscrivendosi al sito e creando un proprio personaggio. Il resto delle informazioni quì tenute sono di libero utilizzo, ma è gradita una richiesta personale all'utente "Thorngage" di wikidot, vi ringrazio. Buona lettura!

Descrizione

** .: Il volto :.**

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"Il Rosso" è uno hin molto alto, per la sua razza, raggiungendo il metro d'altezza. La prima cosa che salta all'occhio è il suo volto: sarebbe anche di aspetto piacevole e ben proporzionato se non fosse attraversato da decine e decine di piccole cicatrici che lo deturpano. Quasi ogni segno di battaglia sul suo volto è percepibile al tatto, scavando un sottile solco sulla sua cute e i due sfregi più grandi sono un segno che viaggia in diagonale dall'occhio sinistro, attraversando il naso, ed un ampio sgarro curvo sulla sua fronte.
I suoi occhi sono di un saturo verde smeraldino e la sua pelle è olivastra, anche se… a guardarlo con più attenzione, si riesce a notare, lì dove il collo si infila nei vestiti o sotto l'armatura, una strana macchia, o qualcosa di simile: in quell'area, è come se la pelle fosse più azzurra, quasi impercettibile, in realtà, ma allo stesso tempo c'è altro. Sotto la macchia sembra che qualcosa si muova. come se la pelle fosse vagamente traslucida e sotto di essa un qualche fluido vorticasse sul posto, molto lentamente.
Il viso segnato dall'esperienza di molti scontri è incorniciato da una enorme quantità di treccine nere! Come molti altri mezz'uomini, Osborn ha un cuoio capelluto estremamente denso, con capelli fittissimi e spessi. Il barbaro, inoltre, tiene i capelli molto lunghi con le trecce più lunghe che giungono quasi alla vita. In fondo a queste e incastrati nel mezzo si trova una gran quantità di pendagli decorativi: perline in argento, foglie scolpite in rame, castoni con piccoli quarzi, anellini di peltro, piccole monete… disordinato ma ben curato, quando muove il capo velocemente si può sentire ogni tanto un dolce e fievole tintinnio metallico.
Una strana pietra magica di un color rosa spento orbita costantemente intorno al corpo dello hin, occasionalmente rimossa per il fastidio in situazioni più "civili".

- In tenuta -
Durante i suoi viaggi indossa quasi sempre il suo equipaggiamento rosso che ha donatogli il suo epiteto.

.: L'armatura :.

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L'armatura rossa è realizzata in un misto di legnoscuro e fogliascura elfica (rigorosamente dipinta) ed è squisitamente incisa su tutte le superfici rigide con motivi astratti appartenenti alla tradizione elfica. Gli spallacci sono segmentati in due punti, alzandosi vicino al collo, e sono assicurati alla piastra pettorale e allo schienale tramite delle cinghie di cuoio decorate ,anch'esse rosse, un sistema di aggancio piuttosto inusuale. Le giunture sono coperte dalle fogliescure trattate alchemicamente mentre l'imbottitura al di sotto delle piastre è in una splendida seta argentea.
La pettorina (la piastra più grande) è rigida, realizzata interamente in legnoscuro, è però coperta dalla stessa seta luminosa, goffrata a rombi, reminiscente delle scaglie di un drago. Il lavoro sartoriale per questa decorazione è di enorme maestria, intaccato solo da qualche piccolo segno di battaglia, anche se lo hin lo fa realizzare ex-novo ogni volta che diventa troppo rovinato.
Sotto la pettorina le piastre segmentate e incise in legnoscuro coprono l'addome, sovrapponendosi e flettendosi magicamente per lasciare assoluta libertà di movimento. Alla corazza sono appese due piccole piastre femorali, mentre gran parte della protezione delle gambe è affidato a delle pieghe di tessuto spesso, agganciato all'interno delle piastre più basse. Parte anteriore e posteriore sono unite da normali fibbie ottonate e non lasciano spazi scoperti.

.: Lo scudo :.
In volo, a seguirlo come un fedele compagno, c'è un grosso scudo di legno rosso, bordato di metallo. Lo scudo ha una forma asimmetrica e presenta delle venature a rilievo che lo fanno assomigliare ad una grossa foglia. Quando il piccoletto cammina tra la folla l'arma difensiva vola sempre alle sue spalle, quasi attaccata alla sua schiena, ma durante uno scontro viene comandata mentalmente dal guerriero scarlatto per difenderlo in ogni direzione necessaria. All'interno, nella parte superiore si legge un’incisione: Sien Oosan, che in lingua hin vuol dire "Foglia di Quercia".

.:Altro equipaggiamento Indossato:.

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Una cintura imponente e radiante autorità decora i fianchi dello hin, con una grande fibbia romboidale incisa, mentre da sotto l'armatura e sopra il farsetto d'armi in seta, fa capolino la coda di uno scapolare nero e rosso, decorato con motivi simmetrici.
A seconda del clima indossa sulle gambe degli spessi pantaloni di panno nero oppure delle leggere braghe di lino marrone, mentre ai piedi indossa sempre degli stivali di cuoio scuro, decorati con fili di rame.

A volte sopra, altre volte sotto gli spallacci, è assicurato un mantello blu oltremare di splendida fattura con un ampio cappuccio, da cui Osborn non sembra separarsi nemmeno quando rimuove il resto della sua tenuta da combattimento. In alcune occasioni indossa un elmo di mithral dipinto di rosso decorato con dei rilievi argentei a saette. Dei robusti guanti (ovviamente dipinti) coprono sempre le sue mani, con delle piastre in cuoio bollito sul dorso ed una pelle morbida e sottile su palmi e dita.

Alla grossa cintura decorata che si appoggia ai fianchi non si vedono armi, solo una faretra elfica apparentemente vuota ed una corda di seta sul fianco opposto, con un rampino agganciato: lo hin non sembra trasportare con sé alcun arco. Porta sempre con sé un grosso borsone nero in pelle: grazie a delle sistemazioni con delle normali fibbie metalliche il combattente rosso può trasportarlo a tracolla o come un pratico zaino, a seconda delle necessità. Assurdamente questa sacca appare sempre semi vuota, anche quando il piccoletto affronta lunghi viaggi.

.: L'arma :.
Attaccata ad una cinghia interna allo scudo c'è una strana accozzaglia di metallo e legno rossi: gli apparenti rimasugli si una qualche arma, forse un'ascia, perfettamente spezzata e ripiegata su sé stessa. Chi lo ha visto combattere sa che in realtà si tratta di Tempesta, la temibile ascia dell'indipendente, che è in grado di afferrare e ricostituire magicamente in meno di un secondo, grazie ad una parola magica.
Tempesta è un'ascia da battaglia inastata a doppia scure. Da terra raggiunge più o meno l'ascella del barbaro, ed il manico in legno è dipinto dello stesso colore del metallo. Il ferro della fiamma di cui è composta è infatti naturalmente scarlatto, fino a che non viene lucidato e graffiato: prende infatti un colore argenteo presso il filo, dove le molte operazioni di affilatura hanno rimosso l'ossido vitreo dal colore vermiglio-purpureo. Le lame della scure sono ampie, ma molto sottili, indicando un’arma dedicata al combattimento piuttosto che uno strumento atto allo spaccar legna. Due punti del manico sono avvolti in cuoio scuro per offrire una migliore presa sul fondo e vicino alla testa dell'ascia.

- Non in tenuta -
.: Le vesti :.
Quando non indossa la sua armatura o i suoi abiti da viaggio Osborn si copre con uno squisito camicione corto di lino verde, che si interrompe prima di metà coscia. La camicia ha dei bellissimi fili di mithral intrecciati. Vicino all'apertura ed i bottoni d'osso, i fili di mithral si intrecciano in motivi fluidi celtici, mentre sul resto della superficie si alternano caoticamente alla trama del lino, in una foresta di liane argentee e luminose. La camicia è a maniche corte, per cui non è raro, nei climi più freddi, vederlo indossare una sotto tunica a tutte maniche, lunga fino al ginocchio, azzurra, bianca o color avorio, a seconda delle occasioni.
Tende ad indossare una varietà di pantaloni o braghe, ma mantiene i suoi stivali decorati di rame, anche se ben puliti in occasioni più formali.

.: Il corpo :.
Nelle rare occasioni in cui Osborn si mostra privo di vesti, attira fugaci sguardi, non per una particolare bellezza o per atletismo del proprio corpo, ma per gli innumerevoli segni che lo deturpano e quella strana pelle a chiazze, che proseguono in vari punti oltre il collo.
La cicatrice che più attira lo sguardo è una linea apparentemente chirurgica, dati alcuni segni di sutura nella lunghezza, che dal centro dello sterno si muove fino alle basse costole a destra. Un’ampia area sulla spalla sinistra sembra la cicatrice di una ustione, o da una bruciatura da acido, piegandosi dietro la schiena la rovina per metà della sua estensione. Un complesso tribale che copre il pettorale e l’omero sinistro è orribilmente rovinato da questo segno, chiaramente avvenuto dopo il tatuaggio. Un'altra cicatrice chirurgica sale dalla coscia e sparisce sotto le braghe di tessuto. Oltre a questi segni ed altre cicatrici più piccole qua e là (probabilmente anche queste chirurgiche) vi è un grosso segno verticale che da sotto il pettorale destro segue l’intero ventre. Una ferita brutta e frastagliata, e molto, molto vecchia. Sebbene possieda una muscolatura invidiabile da ogni membro della sua razza, quasi nessuno è in grado di apprezzarla ignorando lo stato orribile in cui versa il suo corpo. Le macchie di cute "vorticante" prendono il sopravvento sulle gambe, che ne sembrano interamente coperte, vagamente azzurrine e forse leggermente troppo lunghe.

Storia

** Estratto da un esperienza diretta di Osborn, in viaggio tra Celestia e Mercantilia**
«Ne sei sicuro? Forse posso trovare qualche sparamagie qui intorno, non devi arrenderti così! »
Nemmeno Osborn credeva alle sue stesse parole, l’uomo era la prima persona che incontrava in giorni di cammino in quella foresta, non avrebbe potuto trovare nessuno. La voce fioca e debole del genasi lo raggiunse: gli rimaneva forse qualche ora di vita. La luce filtrava tra le rosse foglie degli aceri e le verdi fronde delle querce, per danzare sulle cicatrici dello hin, mentre osservava il cielo, sperando in un guaritore miracoloso che scendesse dal cielo.
«Non capisco quale sia l’incanto che ti sta distruggendo, né perché le pozioni o la magia della mia cintura non riescano a guarirti, o perché tu non voglia raccontarmi la tua, piuttosto…»
Arreso all’evidenza che nessuno sarebbe arrivato il Rosso si sedette a fianco all’uomo, anche lui poggiando la schiena sul tronco di quell’acero così pacifico. Il sussurro del vento accompagna gli ultimi momenti del genasi. Entrambi emettono un lungo sospiro, godendo della brezza, a loro così cara, ma solo Osborn aveva gli occhi lucidi.
«vorrei poter fare qualcosa di più, ma lo accetto. Non capirò mai voi sensisti, ma almeno sei fortunato perché, se vuoi sentire la storia della mia vita, sappi che ne ho avute ben sei! Ti conviene resistere a lungo, dunque, perché staremo qui per un bel po’»
Il Rosso provò a lasciar uscire un’amara risata, con scarso successo, ma l’uomo adagiato al suo fianco sussurrò una risata debole, culminando in un attacco di tosse. La tunica azzurra, con il simbolo della società del sensismo, macchiata del suo sangue; ma quando i colpi di tosse finirono sul suo volto un ampio sorriso, sereno, di quelli che raramente si vedono, di quelli che accettano la morte
«… grazie…» Poco più di un rantolo dall’uomo, ma fu abbastanza per acquietare l’animo di Osborn. Si mise più comodo, la sua spalla appena poggiata sul braccio del morente. Con un lungo sospiro iniziò a raccontare
«beh, suppongo abbia senso iniziare dalla prima vita, no? Sono nato in un luogo bellissimo in un mondo orribile: La terra delle nebbie ho scoperto che viene chiamato quel mondo, ma non lo scoprii che molti anni dopo la mia nascita.
«Mio padre Erran, e mia madre Reina fecero di tutto per tenere me ed i miei fratelli al riparo da quel mondo così crudele. Crescemmo in una fattoria poco fuori dal paese di pietra chiamato Ramulai, in un reame chiamato Hazlan, nel modo più spensierato che fosse possibile in un reame come quello. Ero il secondo di tre, quattro anni prima di me venne Lidda, e poco dopo di me Eldon; tre pesti come è normale aspettarsi da tre hin. Il nostro animale preferito era Alfen, un mulo testardo ma dolce che si lasciava cavalcare da questi tre scalmanati. Sul terreno avevamo una grande quercia, “la grande fogliona” la chiamavamo, ed era il nostro luogo preferito: ore passate all’ombra delle sue foglie, o a cercare di scalare il suo tronco! Lidda era l’unica che riuscisse a salire un po’ più di un metro. Quando avevo quasi otto anni mio padre partì: non ero sicuro di cosa stesse cercando, allora, ma come tutte le famiglie hin, la nostra era una comunità numerosa: con zii e cugini a prendersi cura di noi, e lui spediva denaro dai suoi viaggi. Mio padre era un uomo intelligente; conosceva i domini tra le nebbie di quel mondo, e stava cercando un luogo migliore per tutti noi.
«La terra delle nebbie è un mondo spietato; i reami dentro le misteriose nebbie sono governati da potenti maghi o violenti guerrieri chiamati signori oscuri, e la terra stessa ricompensa l’infamia: chi governa i reami ottiene un enorme potere, e l’unico modo per strappargli quel potere è compiere ancora più infamie e ancora più efferatezze, a quel punto la terra stessa ti ricompenserebbe con la forza necessaria per uccidere il signore oscuro precedente… La pace non poteva durare a lungo, nella nostra fattoria.
«Era la mia decima estate quando una banda di razziatori e schiavisti colpì le campagne fuori da Hazlan. Diedero fuoco a tutto: la fattoria, la grande fogliona, gli animali… la mia infanzia. L’immagine delle fiamme intorno alle fronde della quercia si impresse talmente a fondo nella mente del bambino che ero, che per intere vite successive delle fiamme bianche mi sono apparse nei momenti di furia. Vidi mia madre per l’ultima volta in catene ed in ginocchio davanti al “signore della guerra”, con le vesti lacerate e la dignità strappata di dosso. Non so se Lidda ebbe la premura di coprirmi gli occhi o se il bambino abbia semplicemente deciso di dimenticare, ma non so cosa le successe.
«Io, Eldon e Lidda riuscimmo a correre dentro le mura di Ramulai. Il signore oscuro di Hazlan aveva una qualche strana scuola magica: l’accademia rossa. I suoi migliori studenti abitavano il villaggio e nessuna banda di selvaggi o schiavisti si sarebbe mai sognata di attaccare direttamente. Ovviamente, però, i maghi dell’accademia non avevano alcun interesse a salvare la povera gente che bruciava fuori dalle mura. Quel giorno era terminata la mia prima vita.»
Osborn si alzò: non aveva mai raccontato questo a nessuno, era la prima volta che questa sua vita veniva raccontata ad alta voce, trentasette anni dopo, vivida come se fosse passato solo qualche giorno. Si allontanò di qualche passo, respirando profondamente. Un rantolo di sofferenza salì dal genasi: «ac-qua», chiese debolmente.
«oh! Certo, ecco» Scosso dai suoi pensieri il Rosso si riavvicinò, e preso l’otre dalla borsa lo inclinò delicatamente sulla bocca dell’altro. Le labbra erano spaccate ed essiccate dallo strano incanto o maledizione che stava uccidendo quell’uomo.
«Grazie… raccontami della tua seconda vita»
«Va bene, questa fu la mia vita da artigiano… Vedi non tutti sono orribili nel dominio di Hazlan, c’è chi sceglieva di fare la cosa giusta, anche se non avrebbe mai ottenuto le ricompense della terra stessa. Un uomo di nome Fenar, un falegname, ebbe pietà di noi» sorrise un poco nel ricordarlo «ci accolse subito, viveva da solo, credo che un po’ volesse la compagnia… Mi ha insegnato molto e gliene sono grato. Ci ha dato un tetto sopra la testa, un caminetto davanti al quale riscaldarsi e un letto dove dormire. Non avevamo molto denaro, ma per un po’ di tempo siamo stati felici, in pace», e di nuovo si incupì, «Tre anni dopo Lidda si ammalò: inizialmente sembrava un malessere passeggero, ma poi qualche giorno dopo arrivò la febbre.
«Non avevamo il denaro per farci aiutare dai chierici, e come avrai intuito non era un reame in cui si potesse fare affidamento alla carità degli altri. Ha sofferto per una settimana prima di lasciarci. Non so quale fosse la malattia, forse qualcosa di sciocco e semplice, ma cadde come una maledizione terribile su di me ed Eldon.» Disse sospirando, «Lui è sempre stato più sveglio di me, e senza Lidda a trattenerlo dal fare scelte stupide, si rivolse all’accademia Rossa di Ramulai. A nulla servirono le mie proteste o le preghiere di Fenar, spinto da una qualche sete di vendetta, o voglia di potere, e armato da una mente acuta, i maghi del signore oscuro non hanno esitato ad accoglierlo, non appena hanno fiutato un minimo di talento». Osborn scosse la testa, risiedendosi a terra «Eldon cambiò molto, in quegli anni: le sue visite, già scarse per via degli studi, si fecero sempre più rare; crebbe arrogante e presuntuoso, come uno può immaginarsi, circondati da maghi del genere… Poco dopo fu mandato in viaggio insieme ad altri apprendisti, non passò nemmeno a salutarci, lo vidi per caso, alle porte del villaggio, pronto a partire, per non rivederlo mai più.
«La sete di potere spinge chiunque a fare le scelte più assurde: sei anni dopo la morte di Lidda l’autoproclamato signore della guerra che aveva attaccato i campi fuori da Ramulai fu abbastanza pazzo da attaccare il paese, questa volta. Le loro forze dovettero affrontare la furia arcana dei prediletti del signore oscuro, ma non fu uno scontro a senso unico.
«Attraversarono le mura ed invasero le strade. Ero un ragazzino di diciannove anni, con solo rabbia nel corpo: afferrai il primo oggetto affilato e mi buttai nella mischia. Credo fosse la prima volta che vidi il fuoco bianco. Gli orrori di quel giorno che quel bambino aveva visto si erano bruciati nella mia mente, e quando mi lasciai andare alla furia potevo vedere le fiamme di quel giorno, candide e bollenti, avvolgere gli schiavisti, le case, i corpi di chi uccidevo, tutto… Non nego che lo trovai eccitante.
«Ovviamente non andai molto avanti prima di essere catturato, incatenato e trasportato via, insieme ai briganti che avevano saggiamente scelto la ritirata, dopo le ingenti perdite inferte dagli sparamagie. Nei giorni successivi fui preso a calci, usato come bersaglio per le freccette dei briganti, e malnutrito. Non credo fosse passato molto tempo quando fui venduto, ero uno dei prigionieri più rumorosi e difficili, probabilmente non mi volevano tenere molto di più. Il mio nuovo padrone si chiamava Essir, un uomo elegante con la passione per… donne di piccola taglia. Ammise che voleva usarmi per attirare altre hin e poi ottenere quello che voleva, con denaro o minacce. Al primo pasto usai il suo coltello del burro per pugnalarlo all’inguine, fu difficile: non era affilato.
«Mentre lui moriva dissanguato, io corsi via dalle tende, scappai nei boschi, non sapevo dove fossi, forse nemmeno più il reame di Hazlan, ma ero inesperto, svestito e malnutrito: nemmeno due giorni dopo fui raggiunto da uno dei suoi scagnozzi, probabilmente pagato da un familiare. Il fuoco bianco mi fece visita di nuovo… Non ricordo molto dello scontro, solo il fuoco che ardeva tutto, mi accorsi della mia ferita all’addome e dell’ascia dell’uomo piantata nel suo stesso petto, poi svenni» Osborn smise di parlare per un attimo, «Qui finì la mia seconda vita».
«Capisco perché le chiami “vite”» disse l’uomo sussurrando, «Tutto questo è più di quanto una persona comune conosca, eppure vivevi da così poco»
«Esatto», rispose Osborn «a volte mi rimetto a contare gli anni, giusto per essere sicuro, ma ogni volta il risultato è lo stesso, avevo diciannove anni ma se mi guardassi indietro senza pensarci giurerei che ne avessi sessanta…»
«Anche la tua terza vita fu piena di tragedie?» l’uomo riuscì a malapena a finire la frase prima di cedere ad un altro violento attacco di tosse. Osborn rimase in silenzio per quasi un minuto in attesa che quello si riprendesse, stringendogli la mano.
«No, fu stranamente la più quieta», spiegò il Rosso, «mi risvegliai fasciato e con un pugnale al fianco, il corpo del sicario non c’era più, ma c’era il suo sangue. Non capii mai chi si prese cura di me, ma all’epoca ero abbastanza cinico da fregarmene. Un po’ mi dispiace, mi piacerebbe ringraziare chiunque fosse di persona.
«Passai sei inverni nelle terre selvagge di quei luoghi, scoprii presto che mi trovavo in una foresta a sud di una città chiamata Toyalis. Un villaggio in confronto alle metropoli planari che conobbi anni dopo, ma all’epoca era la cosa più grande che avessi mai visto» si lasciò andare ad una piccola risata, «non riuscivo a fidarmi, da piccolo hin qual ero, di una città così grande, quindi mi mantenni all’esterno, vivevo nella foresta come un eremita, scambiando carni e pelli di animali, o piccoli ninnoli di legno occasionalmente con gli abitanti, che a volte venivano a cercarmi nel bosco. Iniziai in quegli anni a venerare un potere della natura di cui mi parlò una donna. Anni dopo quando lo descrissi mi dissero che si chiamava Obad-Hai, ma probabilmente era un altro ed io non lo sapevo
«A mano a mano che gli anni passavano riuscii ad avvicinarmi sempre di più alla città, fino addirittura a diventare assistente in una falegnameria. Dopo tre anni a Toyalis avevo messo abbastanza denaro da parte per affrontare un viaggio: tornai a Ramulai. L’unica autorità in un posto come Hazlan è sottoposta direttamente al signore oscuro Hazlik; quindi, puoi immaginare quale risposta ricevetti quando provai a reclamare il terreno della fattoria… Sconfitto, andai a trovare il contadino mezz’elfo che aveva acquistato il terreno. Aveva conservato alcune lettere di mio padre, almeno credevo, ed altre cianfrusaglie in un vecchio baule, si era ovviamente tenuto le monete che erano state trovate sulla proprietà, ma mi concesse di avere il resto. Non aveva mai smesso di scrivere, almeno fino a che mia madre era viva, in ogni lettera rimarcava come fosse dispiaciuto di non poter sempre ricevere una risposta, e che stava cercando il luogo adatto alla nostra famiglia. Nella sua ultima corrispondenza diceva che stava racimolando denaro per portarci tutti nella “città più folle che potessi immaginare”; un posto chiamato Sigil da dove, a sua detta, si poteva raggiungere ogni luogo immaginabile e più. Non c’era una data, ma la carta sembrava molto vecchia, impossibile dire quanto.
«Inutile dire che le mie ricerche su Sigil, in un luogo dimenticato dal multiverso come la terra delle nebbie, non portarono alcun frutto. Allontanandomi da Ramulai fui raggiunto da un mago dell’accademia: un elfo di nome Trael. Forse avrei dovuto capire che si trattava di uno che stava fuggendo, non so se fosse un traditore, uno che voleva fuggire dall’accademia o se magari avesse scoperto qualcosa che non doveva, ma col senno di poi mi fu chiaro che quello mi stava prendendo in giro e stava solo cercando di allontanarsi il più possibile. Sta di fatto che non me ne accorsi all’epoca, e lui mi giurò di potermi portare a Sigil in cambio di denaro e protezione durante il viaggio. Pagai tutto ciò che avevo per accompagnarlo verso sud, senza rendermi conto della sua paranoia o della sua fretta. Giungemmo al confine delle nebbie…
«Nessuno sa cosa siano realmente le nebbie di quel piano, ma tutti sanno una cosa: non attraversi mai le nebbie di tua spontanea volontà. Eccettuate alcune delle “vie” conosciute, e comunque mai completamente affidabili, nessuno è mai uscito dopo essere entrato nelle nebbie. Quindi puoi immaginare il mio stupore quando Trael mi disse che dovevamo attraversare le nebbie al confine di Hazlan. Quell’elfo doveva essere davvero disperato, a pensarci oggi… Mi promise che aveva un incantesimo in grado di proteggerci, e che avremmo raggiunto “Sigil”. Ero talmente ingenuo da fidarmi; Fu l’ultimo giorno della mia terza vita, stava per iniziare la mia vita da avventuriero, la quarta»
«ma allora», intervenne il genasi, prima di dare due colpi di tosse, «allora aveva davvero modo di proteggervi dalle nebbie, siete sopravvissuti». La voce dell’uomo sembrava essersi ripresa un po’, forse per la curiosità, o forse era solo un caso. Osborn si alzò, per andarsi a risedere direttamente davanti alle gambe di lui
«Non so se il suo incantesimo avesse funzionato, ma si, siamo sopravvissuti, ma di sicuro non mi aveva portato nella gabbia! Dopo qualche minuto di cammino il terreno cedette sotto i nostri piedi e ci trovammo in acqua salata, in un mare agitato! Io e il mago fummo subito separati e lo persi di vista, le nebbie si diradarono e notai un’isola rocciosa in lontananza
«Nuotai con tutte le mie forze, probabilmente per qualche ora, giunto sugli scogli affilati persi conoscenza quasi immediatamente. Quando mi risvegliai scoprii che l’isola era abitata da una piccolissima comunità, lontano si vedeva un’altra isola, ben più grande, le luci di una città sulla costa. Dall’altro lato, le nebbie coprivano l’orizzonte… Eravamo in un altro dominio, ma restavamo nella terra delle nebbie.
«Il dominio e l’isola si chiamavano Arshmork, e quella sorta di scoglio abitato dove ero finito era l’isolotto di Morkstone. Arshmork era un luogo forse peggiore del precedente: l’insediamento più grande era una lugubre cittadina cinta da nere mura, chiamata Morken, fuori da essa poco più che qualche villaggio sparso in una terra dove ogni cosa vuole ucciderti… Non che fosse troppo diverso nella città…
«Hazlan non è un luogo ospitale per nessuno, ma Arshmork ha una peculiarità tutta sua: il razzismo! A quanto pare, se non sei un umano a Morken sei considerato meno di un ratto di fogna, insulti e sputi erano la mia nuova norma, e qualcuno come te sarebbe stato ucciso subito, probabilmente per cercare di usare i tuoi organi in qualche modo assurdo», il Rosso appoggiò la mano destra sulla coscia del genasi, gli sembrava fosse più freddo. Si perse un attimo nei vortici sotto la pelle di quell’uomo, così simili a quelli presenti anche sul suo corpo, scuotendosi si tolse il mantello per posarlo sul moribondo, nella speranza di riscaldarlo un po’. Poco importava se il mantello si sporcasse di sangue. «vuoi che mi fermi? Vuoi riposare?»
«n-no…» rantolò appena il genasi «voglio s-sapere…» La voce era tornata flebile e sussurrante, ogni respiro portava con sé un rantolo acuto appena percettibile
«D’accordo», rispose Osborn, «provai a farmi un nome, per guadagnare rispetto, sai… e tutto sommato non mi andò troppo male. Cacciai qualche morto ambulante dal sentiero verso nord, conobbi le poche persone che non erano orribili, partecipai ad un torneo organizzato da un bardo pazzo, ma gentile, il quale puntò su di me e utilizzò ogni trucco magico a sua disposizione per farmi vincere», si fermò un attimo per una risata «ripresi persino a fare l’apprendista in una falegnameria, dopo che un po’ di gente in città cominciò a vedermi come un “ratto” un poco più utile. Cinque inverni passai su quell’isola schifosa, prima di imbattermi nuovamente in Trael.»
Ad Osborn parve per un attimo che il genasi tentasse una risata, un sorriso amaro sul suo volto nel vedere che almeno la sua storia stava dando qualcosa, al sensista. «nascondeva le sue orecchie appuntite e non indossava le vesti rosse, ma lo riconobbi subito, in mezzo alla folla, una volta che lo raggiunsi lo buttai a terra e lo minacciai con la mia ascia: il patetico bastardo mi aveva mentito, trasportato in un’isola schifosa e fatto quasi affogare, avrebbe dovuto essere molto convincente per cavarsi dai guai…
«Ma, a quanto pare, lo fu! Non ricordo esattamente cosa disse per evitare che lo picchiassi, ma il succo del discorso era che, in qualche modo, Trael era riuscito a convincere un nobile locale, non ho capito se un qualche cugino del signore Oscuro di Arshmork, o se un membro della famiglia rivale, a prenderlo come cortigiano e mago di servizio: quell’elfo aveva davvero una lingua d’argento! Mi disse che il nobile aveva molto denaro, ed era lui stesso un incantatore, e di grande potenza! Mi spiegò che il posto che volevo raggiungere era in un altro mondo, e che ero un pazzo se credevo che mio padre fosse riuscito a raggiungerlo, che stava mentendo ed era fuggito altrove per stare lontano da noi. La minaccia di un coltello gli fece gridare che forse vi era un modo, non c’era protezione di alcun nobile dorato in quel vicolo.
«Implorando che non lo colpissi, Trael mi disse che aveva scoperto che il suo nobile stava studiando i modi in cui diverse creature erano riuscite a fuggire da Arshmork e dalla terra delle nebbie: a quanto pare i rari incanti di trasporto planare che erano riusciti a raggiungere quel piano non funzionavano, per un qualche motivo, e solo alcuni portali, rarissimi e spesso effimeri, si aprivano su quel mondo. Aveva detto che tra gli appunti c’era menzione di un diario, che descriveva una strana creatura uscire da una finestra di una villa abbandonata a Morken, rientratavi poi, sparendo nel nulla, qualche ora dopo, avendo pronunciato strane parole. Nel diario si raccontava di come dalla finestra, durante alcune notti, si sentisse un chiacchiericcio sommesso, come di una lontana folla che parlava in lingue sconosciute.
«Non capii nulla di quello che mi stava dicendo, ma l’elfo rivelò che il suo mecenate era ossessionato da questa storia, che aveva individuato quella che credeva essere la finestra e che stava ricercando da anni le possibili parole magiche per attivare il portale e scappare, senza successo, ma se lo avessi risparmiato, mi avrebbe mostrato la finestra che ossessionava il suo padrone, e forse avrebbe pure potuto combinare qualcosa, una volta arrivato lì con me. Il bastardo ebbe la faccia tosta di chiedermi un pagamento, per questo; risposi che poteva offrire lui o pagare con il suo sangue; offrì lui.
«Non gli credevo, ovviamente, ma ero curioso di vedere questa misteriosa finestra, e se avesse davvero tentato qualcosa di strano con me, beh avrei avuto un’ottima scusa per fargli pentire di avermi trascinato fin lì. A forza di minacce e “gentili” intimazioni mi portò alla villa abbandonata. Una vecchia e lugubre struttura vicino al porto di Morken, fatiscente da anni. Presso il cortile interno vi era questa strana finestra dai vetri rotti; un Urobòro attorcigliato, stranamente ben conservato scolpito al suo apice. Mi arrampicai fino all’uscio e guardai dietro di essa: un lugubre corridoio abbandonato della villa… Nessuno strano mondo o vociare di lingue impossibili. Mi girai verso il mago, pronto a fargli pagare il suo ultimo trucco ma fui strattonato indietro, dentro la finestra, da una qualche strana forza. Battei la testa per terra su un pavimento di legno polveroso, un brusio di voci incomprensibili nell’aria ed una strana nebbiolina azzurra intorno a me; mi rialzai, la finestra non mostrava niente dall’altro lato, solo nero completo
«La taverna… del mondo serpente» disse a fatica il sensista lì vicino. Un sorriso, benché triste, si dipinse sul volto dello hin, ma rispose gentilmente, calmandosi dalle ire che il racconto gli aveva riportato «Già… ero finito nei corridoi di Mitchifer» ammise lo hin «E le parole magiche?» chiese l’altro «Non ce ne fu bisogno… Ancora non lo sapevo, all’epoca, ma sono un Dimensional, una di quelle persone che possono attraversare la maggior parte dei portali senza bisogno della chiave, o senza dover aspettare momenti specifici… Una gran fortuna, lo so» ridacchiò un poco «Se così non fosse sarei ancora intrappolato a vivere la mia vita ad Arshmork, o forse sarei morto anni fa.» disse il Rosso
«Con questa fortuna e la taverna del mondo serpente la mia vita da avventuriero cambiò radicalmente! Quanti mondi da esplorare, quanti pericoli, quante meraviglie! Anche solo nella sala della taverna non credevo ai miei occhi! Raggiunsi praticamente subito la Gabbia, grazie alle informazioni di Mitchifer e tu sai bene cosa fa quella città ad uno sperduto: la follia e la meraviglia ci mette poco a diventare abitudine, e la ricerca di mio padre si arrestò rovinosamente. Trovare qualcuno in quella città è impossibile, soprattutto se non è gente nota, ma avevo avuto un assaggio del multiverso e il suo vorticare infinito mi aveva risucchiato!
«Iniziai a vivere la mia vita davvero, slegato dal mio passato, e quante cose ho fatto! Ho scalato i giganti di casa forca a Carceri, estraendo un dente per il collezionista; ho recuperato artefatti sacri dalle grinfie di elfi oscuri malevoli a Svartalfheim; recuperato antichi strumenti musicali per un nobile gigante delle tempeste nel piano dell’aria… Ma ho anche imparato: ho capito che nel multiverso non si doveva per forza vivere sotto il giogo di qualcuno, che avevo la forza per rompere le catene che mi venivano imposte e che questa forza era abbastanza per spezzare le catene di altri.
«Vedi, fino a che ero nella terra delle nebbie, Ravenloft, ho scoperto viene chiamata, vivevo per sopravvivere, per garantire a me stesso il passo successivo, il tetto sopra la testa, il cibo nel mio stomaco, come fa chiunque altro in quei luoghi, se non vuole uccidere o prevaricare. Ma se le mie avventure mi hanno mostrato le crudeltà del multiverso, quelle non mi erano nuove, nulla che non avessi visto o sentito ad Hazlan o Arshmork; mi mostrarono però anche l’altra faccia della medaglia, altruismo ed empatia, che fuori dal mio mondo natìo, la gentilezza e la bontà potevano esistere con più forza, più eroismo di un falegname che si impietosisce davanti a tre bambini hin. Il multiverso mi ha cambiato per il meglio.
«Il mio passato, pregno di angherie subite da chi mi era superiore, in balia di un mondo che era esso stesso una trappola, dove fui fatto perfino schiavo, mi portò verso gli indipendenti. Sì, sono decisamente tra i membri della Libera Lega più idealisti e devoti ad una particolare causa, e lo so che sembra una contraddizione, ma è così: non do valore alla sola mia individualità, ma lotto affinché quelli che non possono riottenerla da soli possano alzarsi e riprendere in mano la loro vita! Sono tanti gli schiavi che ho liberato tra i piani, tante le vite di schiavisti che ho spezzato.
«Allo stesso modo mi innamorai del piano elementale dell’aria… abbiamo questo in comune. » disse sorridendo, prima di alzarsi e spiccare il volo, solo per guardare un po’ più in là sul sentiero, nella speranza di vedere qualcuno avvicinarsi, un guaritore miracoloso dell’ultimo momento… solo il vento tra i rami, nessun’altro. «Fui rapito dai cieli infiniti, dalla furia della tempesta, dalla violenza del fulmine che fonde i metalli… Per me l’aria era la più vera espressione della libertà, passai tanto di quel tempo sul piano che sviluppai una connessione speciale con esso, quello che mi permette di fare quello che mi hai visto fare… Acquistai perfino un Grifone, una fiera creatura con cui solcai quei cieli infiniti per lunghissime giornate, godendo l’uno della compagnia dell’altro» L’uomo a terra, coperto dal suo mantello, non disse nulla, ma lo sguardo stanco e morente riuscì comunque a trasmettere comprensione e complicità al Rosso.
Questa fu la mia quarta vita: il mio passato lo avevo abbandonato… fino a che non ho sentito parlare dell’angelo di Gu’n’ragh.
«Non ho… mai sentito di questo angelo…» rivelò il moribondo «Non fu una voce che girò per molto, nella gabbia» rispose Osborn «Ma giunse alle mie orecchie la storia di questo angelo che risiedeva in una fortezza al centro della grande tempesta psichica dell’astrale, in grado di dare a chiunque lo avesse trovato le risposte a qualunque domanda sul suo passato o esaudire un desiderio antico della propria vita… Mi tornò la forza di cercare mio padre, e finalmente sarei stato in grado di trovare qualcuno in grado di portarmi da lui, o mostrarmi la via!»
«Attraversare la tempesta psichica fu difficilissimo. Il tempo aveva smesso di aver senso, per un intero giorno o chissà quanti anni mi è sembrato di attraversare la tempesta, ma fu come attraversare la mia stessa mente: fu surreale. Memorie e realtà si fondevano insieme, i pensieri smisero di avere senso, non so come resistetti al dolore. Una orribile bestia nativa provò a rapirmi per soggiogarmi e rendermi uno schiavo, ma il suo corpo esanime ancora fluttua spinto dai venti psichici.
«Ma…» dei violenti colpi di tosse costrinsero il genasi a fermarsi, macchiando di sangue il mantello che gli era stato adagiato addosso, per poi riprendere con calma «trovasti l’angelo, alla fine» Osborn si sentiva così impotente nel vederlo morire lentamente, ma non sapeva cosa fare… Si accovacciò per terra, estraendo un fuoco da campo crepitante dalla sua sacca, evidentemente magico. Cominciò a sistemare un pentolino versandoci dell’acqua per farla bollire, mentre continuava a raccontare
«Si, lo trovai. Un lugubre tempio nell’occhio della tempesta, o una fortezza, difficile dirlo. L’angelo era l’unica creatura al suo interno. È assurdo: forse è stata la creatura che più ha influenzato le mie vite; eppure, non riesco a ricordare che aspetto avesse, tutto è così confuso. So solo che poco dopo avermi incontrato ha assunto la forma di Urogalan, il dio Hin della terra e della morte. Ancora mi chiedo cosa realmente fosse, se un emissario della morte stessa, un potere annoiato, ma non credo sarò mai in grado di capirlo. Non parlammo a lungo, ma mi disse di presentare la mia richiesta… Volevo sapere dove si trovava Erran Thorngage, dove era finito mio padre… sapere se ci avesse davvero abbandonato, o se qualcosa lo aveva tenuto lontano da noi… anche solo sapere se fosse vivo.» Il rosso sembrava distratto mentre estraeva dalla sua borsa un sacchetto di lino, contenente delle piccole foglie essiccate, forse thè, forse altro.
«Non sapevo cosa mi avrebbe richiesto in cambio e non potevo immaginare che mi avrebbe portato a vivere la mia quinta vita, la più importante, la migliore… Il più grande dono che avessi mai potuto chiedere» Si fermò un attimo. Nei suoi occhi un’espressione sognante e idilliaca, rapidamente spenta da ciò che stava per raccontare. «Mi disse che richiedeva un pagamento, non volli neanche sapere come, afferrai la sua mano non appena la tese… Distrusse il mio corpo.» Un lungo sospiro, seguito da un altrettanto lungo silenzio. Per qualche buon minuto il Rosso non parlò, così come non lo fece il povero genasi morente. Lo hin appariva pensieroso e concentrato mentre toglieva il pentolino dal fuoco, spezzettando le foglie dentro, che rapidamente tinsero l’acqua: la filtra usando il sacchetto, versandola dento una tazza di coccio, portandola all’uomo «tieni, è un infuso di foglia di re, un erba di Celestia: aiuterà col dolore» dice all’uomo, anche se dal tono non era chiaro al dolore di chi si riferisse, poi riprende a raccontare «I miei organi furono strappati via o disintegrati, le ossa delle mie gambe si spezzarono in migliaia di pezzi spargendosi nei muscoli delle mie gambe, le mie vene drenate del loro sangue, ed io svenni di colpo.» Un lungo sospiro per ricominciare a parlare con forse meno pesantezza «Ma allo stesso modo la sua strana magia fece in modo di tenermi in vita. Certo, non era un granché di vita: non ero più in grado di camminare, ridotto a vivere seduto, costretto a mangiare solo liquidi e tanto debole da essere a malapena in grado di parlare» si rese conto che la sua situazione non doveva essere troppo diversa da quella che stava vivendo in quel momento il genasi… Una folle teoria gli passò per la testa, mentre lo vedeva bere con difficoltà da quella tazza in terracotta; la scacciò via con la mano, prima di andare ad aiutarlo.
«Quando riaprii gli occhi, ero in un letto semplice, in uno stato terribile, una donna Hin di fronte a me stupita di vedermi sveglio: mi disse che mi trovavo nella tenuta Thorngage» si fermò un attimo per lasciare che il peso della notizia data si posasse sull’altro «Di lì a poco ebbi tutte le mie risposte, mio padre entrò nella stanza e non mi riconobbe. Nemmeno io sarei stato in grado di riconoscerlo se non fosse stato per il nome, ma non aspettai molto prima di rivelare chi fossi, e fu un bene che fossi in quello stato, altrimenti la mia ira non si sarebbe infranta solo con le parole, nei suoi confronti; che errore sarebbe stato!» spiegò «Sta di fatto che ebbe la possibilità di spiegarsi, e raccontarmi la sua storia.
«Non eravamo più nell’astrale, bensì in una fattoria di Celestia, nei campi verdi di Venya. Mio padre non aveva mai smesso di amarci e cercarci: durante il suo primo anno di viaggi si perse tra le nebbie ai confini di Hazlan, verso l’entroterra di Ravenloft, e si ritrovò alla cittadella di ghiaccio e acciaio. Come mai le nebbie lo abbiano portato lì è completamente un mistero, ma mio padre è una persona piena di risorse, e capace di adattarsi! In poco tempo riuscì a capire qualcosa della struttura della grande ruota, tanto addirittura da riuscire a raggiungere il mondo serpente! Fu un errore da parte mia non parlare mai di mio padre a Mitchifer, magari si sarebbe ricordato di lui, e mi avrebbe indicato la giusta direzione, chissà.
«Insomma, nei suoi viaggi tornava spesso alla taverna, pagando un incantatore per mandare dei messaggi. Non so come funzioni quell’incantesimo, ma l’incantatore li inviava direttamente alla mente di mia madre. La mia povera madre si affrettava a scrivere tutto quello che sentiva da quel misterioso mago che le portava notizie di suo marito. Mio padre sapeva che c’era la possibilità che i messaggi non arrivassero, ma quando appena due anni dopo la sua partenza non ricevette più alcuna risposta, iniziò a cercare disperatamente un modo per tornare. Provò a far contattare me, Eldon, o Lidda, ma eravamo troppo cresciuti, troppo diversi perché i messaggi ci arrivassero. Non avevo motivo di credere che mentisse: i tempi coincidevano.
«Per quasi nove anni, mi disse, cercò un modo per raggiungere la terra delle nebbie e tornare. La taverna di Mitchifer ha dei portali che si aprono di rado sulla terra delle nebbie, come la finestra da cui ero entrato io, ma imparò che restavano aperti per un solo giorno, e non sapendo dove sarebbero comparsi nei reami di Ravenloft, non poteva rischiare di finire lontano da noi, non ci avrebbe mai raggiunto per tempo. Riuscì a comprare una bussola dei portali, il mio vecchio, e con quella riuscì a formulare un piano. Una volta entrato da un portale del mondo serpente e ritrovata la sua famiglia, sarebbe stato in grado di attendere che la bussola gli indicasse la taverna, in una disperata corsa per portare via la sua famiglia da quel piano orribile.
«Molto di quello che mi ha raccontato dopo è frutto dei suoi viaggi… Raggiunse di nuovo Ramulai, per scoprire quello che era successo… a mamma, e a Lidda. Cercò di rintracciare me ed Eldon. Quella povera donna di mia madre doveva aver chiesto informazioni riguardo questa “voce da un altro mondo” all’accademia rossa. Forse è per questo che i maghi presero mio fratello con loro, nella speranza di scoprire un modo per fuggire dalla terra delle nebbie e conquistare altri mondi e potere per il signore oscuro di Hazlan. Mio padre era stato furbo, disse ai maghi dell’accademia rossa di aver mentito, di essere scappato: la loro sete di potere li avrebbe spinti a rapirlo e torturarlo. Scoprì che dopo la partenza, Eldon perse la vita durante il viaggio… I maghi non vollero nemmeno dirgli come. Sconfitto e disperato, sena alcuna notizia di che fine avessi fatto io, aspettò di raggiungere una porta per il mondo serpente, sperando che almeno io avessi trovato la mia pace… Non poteva immaginare che io stessi iniziando la mia terza vita poco lontano. Se solo ripenso a quanto siamo stati vicini mi vengono i brividi.
«Molto di quello che mi ha raccontato dopo è frutto dei suoi viaggi… Raggiunse di nuovo Ramulai, per scoprire quello che era successo… a mamma, e a Lidda. Cercò di rintracciare me ed Eldon. Quella povera donna di mia madre doveva aver chiesto informazioni riguardo questa “voce da un altro mondo” all’accademia rossa. Forse è per questo che i maghi presero mio fratello con loro, nella speranza di scoprire un modo per fuggire dalla terra delle nebbie e conquistare altri mondi e potere per il signore oscuro di Hazlan. Mio padre era stato furbo, disse ai maghi dell’accademia rossa di aver mentito, di essere scappato: la loro sete di potere li avrebbe spinti a rapirlo e torturarlo. Scoprì che dopo la partenza, Eldon perse la vita durante il viaggio… I maghi non vollero nemmeno dirgli come. Sconfitto e disperato, sena alcuna notizia di che fine avessi fatto io, aspettò di raggiungere una porta per il mondo serpente, sperando che almeno io avessi trovato la mia pace… Non poteva immaginare che io stessi iniziando la mia terza vita poco lontano. Se solo ripenso a quanto siamo stati vicini mi vengono i brividi.
Lo hin recuperò la tazza dall’uomo, posandola con garbo a fianco di una radice «Tornato tra i piani, sconfitto dopo nove anni di disperata ricerca, si stabilì vicino al reame di Yondalla e gli altri Dei degli hin» spiegò infine con un sospiro Osborn «e nel corso degli anni si ricostruì la sua vita, trovando una nuova moglie, fondando una nuova fattoria» disse «Non poteva credere che io fossi riuscito a trovarlo, non ebbi il coraggio di dirgli cosa dovetti fare per riuscirci, tuttavia. Forse è stato un errore, vedendomi in quello stato credo che la sua immaginazione lo abbia fatto soffrire più della verità dei fatti. È un uomo forte, mio padre, anche quando, qualche anno fa, gli rivelai che cosa avevo fatto, accettò la cosa con nobile silenzio, ma sapevo che ne era grato» un altro gran respiro da parte del Rosso, che si piegò a risistemare il mantello sul genasi. «Fu quando finì di raccontarmi dei suoi viaggi che fece entrare sua figlia: Lidda. Non potevo credere ai miei occhi, avevo di nuovo una sorella! Ancora non me ne ero reso conto, ma nel momento in cui guardai in quei piccoli occhi color nocciola avevo già abbandonato la mia vita da avventuriero, in quel momento iniziò la mia vita da contadino»
«Non so quanto ti interesserà questa vita, sensista, perché è stata di gran lunga la più noiosa, ma è stata di certo la più felice, per me. Per la prima volta da quando ero bambino mi sono sentito normale, felice di essere una semplice persona in un luogo semplice. Ho passato qualche mese in quelle condizioni orribili, ma poco dopo chiesi a mio padre di prendere i miei soldi e usarli per pagare un incantatore che potesse trasportarmi vicino ad un portale per Sigil. Una volta giunto nella città andai da A’kin, ne avrai sentito parlare» disse girandosi verso l’uomo, il quale ricambiò con uno sguardo di intesa, rantolando appena un commento «la tua pelle… innesti elementali» riuscì a dire. Lo hin guardò verso il basso . «non c’è bisogno che ti dica altro, allora. Stavo peggiorando, non credo che sarei sopravvissuto molto più a lungo in quelle condizioni…» spiegò, come se volesse giustificarsi «Ma non potevo morire, non ora che avevo una piccola sorellina! Aveva nove anni quando l’ho conosciuta… non volevo ammettere a me stesso che la mia vita da avventuriero era finita, sai? Mi sono fermato per un po’ lì alla tenuta, due inverni, per essere preciso, e la mia sorellina adorava il suo nuovo fratellone! Quante storie le raccontai, prima di andare a dormire, quanti notti passate nella tenda in mezzo al campo di cavoli, anche quando la casa era calda e lì vicino! Le piaceva passare dentro la mia armatura, messa lì a prender polvere…» quasi senza volerlo si portò una mano verso il cuore, lì dove all’interno c’era quel disegno che aveva fatto Lidda, all’altezza del cuore “così quando combatti i cattivi ti aiuto!” aveva gridato la piccolina. «Poi mi sono di nuovo gettato a capofitto in due avventure, stupidamente.»
«Viaggiavo ancora, anche se di meno del solito, per andare a trovare Vento, il mio grifone, alla cittadella di ghiaccio e acciaio, o per visitare qualche vecchio amico qui e là. Così mi ritrovai a sentire di un gruppo di matti che voleva raggiungere il centro del labirinto del signore dei gufi. Settimane di viaggio ci sono volute, ma giunti al labirinto abbiamo compreso l’indovinello e raggiunto il centro! Fu molto difficile, ed uno dei nostri purtroppo non ce l’ha fatta» un breve momento di silenzio, ricordandosi de il Kaiser «ma io e l’organizzatore della spedizione ce la facemmo. Un certo Shardanaze, tuo confratello, pensa un po’…» Nuovamente lo hin si girò sorridendo verso il sensista, ma il suo viso si spense immediatamente: l’uomo era a malapena in grado di respirare e non rispondeva più se non con uno sguardo, che sembrava implorarlo di continuare.
«La seconda avventura era per conto della società dei viaggiatori dell’etereo» spiegò, affrettandosi a sedersi di nuovo a fianco dell’uomo, tenendogli la mano stretta «Recuperare una verga magica dai cieli sconfinati… Fu una missione che ci mise a dura prova, uno dei nostri era una testa dura, che fuggendo dalla sua responsabilità alla prima difficoltà ha dimostrato di che pasta era realmente fatto» uno sbuffo di scherno «ma con gli altri alla fine giungemmo al posto, dove invece della verga trovammo ad attenderci un elementale invisibile assetato di sangue» disse «Uccise il mio grifone, Vento, e la nostra guida, dallo stesso nome. Riuscii ad affondare il colpo finale alla creatura ma era ormai tardi. Rinunciai alla ricompensa della società per far resuscitare sia la guida che il mio grifone, così come la sorella della guida, morta in un'altra spedizione prima di noi…» Si fermò un attimo «Lo farei anche per te, sai? Questa esperienza potresti farla due volte, se solo mi dicessi come ti chiami» l’uomo al suo fianco riuscì a malapena a scuotere la testa per rifiutare. Osborn non capì «Fu un risveglio per me… quella vita da eroe, da pazzo che si getta in mezzo al pericolo per gli altri, doveva finire. Dovevo prendermi cura di Lidda. Tornai a Venya, portai Vento con me; l’ascia, lo scudo e l’armatura rimasero in un cassetto, a prendere la polvere che meritavano di prendere, ed io divenni Osborn, il contadino. Un pessimo contadino, ovvio!» e rise, nella speranza di ravvivare una luce di vita nell’altro «Mi guadagnavo da vivere aiutando con i lavori in legno, dando una mano nella fattoria… e raccontando le mie storie ai bambini, Lidda era sempre pronta a gridare, con una ascia di legno in mano “Osborn l’eroe è il mio fratellone!”» gli occhi dello hin si riempirono di lacrime. Nostalgia e gioia si contendevano il suo volto
«Rimasi lì altri sette anni, quasi otto, in realtà, dopo essere tornato dalla missione nel piano dell’aria… il mio “pensionamento”. Molto è cambiato nei dieci anni passati da quando ho conosciuto Lidda. Lei ne ha diciannove ormai, non è più la bambina che prende l’ascia di legno costruitagli dal fratellone, che gioca a fare l’eroina. È una donna ormai, un’individua che è giusto sia separata dell’identità che si era costruita attorno a quel pazzo di suo fratello. Una giovane ragazza che deve stare con la persona che vuole al suo fianco, anche se il fratellone non lo approva. Il viaggio planare non aveva mai smesso di tirarmi a sé, le mani non avevano mai smesso di prudere. Forse, prima che si allontanasse da me e dalla sua famiglia, quando furono dette quelle parole che fanno ancora così male… suppongo fosse quello il motivo per cui non ho avuto il coraggio di dirle che era un bravo ragazzo, alla fine; che non era necessario trovare un uomo capace di grandi cose perché lei lo era abbastanza per entrambi; che ero fiero di lei… Ho detto che furono le sue parole a far male, ma sto ancora mentendo a me stesso, sono quelle parole che non ho detto prima che quella porta si chiudesse che mi spezzano ancora il cuore…
«Che poi sono solo io lo stupido: a fare una storia così grande per una ragazza che se ne andava a vivere da sola a meno di una settimana di viaggio, portarmi questo peso nell’anima per una cosa così stupida… Era chiaro che non c’era più bisogno di me, ai campi verdi, Osborn il contadino esisteva solo per essere Osborn il combattente che proteggeva la piccola Lidda: il mio pensionamento era finito. Mio padre capì, fu lui a lucidare la mia armatura, non troppi giorni fa.»
«E così sono qui, sensista… In viaggio di nuovo, all’inizio della mia sesta vita, riprendendo la forma di Osborn “il Rosso”, a rispondere alla chiamata incessante dei piani, a grattare il prurito alle mani, ad unirmi alla lotta per quel bene che c’è a questo multiverso, per cui vale davvero la pena combattere» Disse ispirato il Rosso «Ma ovviamente tornerò, ogni volta che potrò! Devo dire quelle parole a mia sorella, e sono sicuro che lei sarà forte abbastanza da perdonarmi… lo è molto più di me» Osborn fece per strizzare un po’ di più la mano dell’uomo, che stava stringendo, ma si rese conto che non c’era più alcuna forza, nelle dita «ehi… Ehi, sensista!» scosse l’uomo sdraiato all’ombra di quel tronco, ma non ricevette risposta… La luce aveva lasciato i suoi occhi, il vento nel suo petto aveva iniziato un nuovo viaggio, lontano da lui, sul suo volto solo un sorriso, per ringraziare il Rosso delle sue storie.
Osborn pianse a lungo al suo fianco. Il giorno dopo lasciò l’albero con della terra smossa tra le sue radici, un cardo piantato nel terreno, e un uomo innamorato della vita nel terreno.

Dicono di lui - Voci di Taverna

- Quello hin, Osborn, quello tutto vestito di Rosso. Si, dicono che sia stato lui: ha fatto fuori i loro guardiani e li ha liberati tutti e cinque! Nessuno ne è sicuro ma i colpi sui corpi di quegli schiavisti sembrano venire da una piccola scure…

- Lo conosci quell’halfling con l’ascia e l’armatura Rosse? Massì, Osborn… Thorngage o roba simile, mi pare si chiami… Lo sai che fa parte della Libera Lega? Viaggia di piano in piano, probabilmente è un Dimensional, ma pare essere più opinionato del tipico indipendente.

- Lo sappiamo entrambi, Carceri è un posto schifoso, e Casa Forca è un luogo ancora più schifoso, eppure sembra che i soldi o il desiderio di fama e gloria attiri chiunque, dato che alcuni dimensional, sotto contratto da parte del Collezionista, si siano spinti fin là e abbiano cavato il dente di uno dei titani lì impiccati. Pare che quel piccoletto, Osborn, sia uno di loro, è stato di certo ben pagato!

- Oh, hai sentito? Quell’Halfling che chiamano "il Rosso"; no, non ha a che vedere con l'esperienza, dicono sia solo riferito al colore: Pare abbia donato sedicimila grane al tempio di Iside perché aiutino gli infanti nati senz’anima, Sedicimila! Chissà come mai tutta questa generosità…

- Perfino nel Piano Etereo è giunta voce delle opere buone compiute da quell'halfling di nome Osborn. Parecchio tempo fa, durante una delle prime spedizioni verso i piani interni, purtroppo la guida della Società dei Viaggiatori dell'Etereo è rimasta uccisa, ma contrariamente alla maggior parte dei mercenari, quello hin ha praticamente rinunciato alla ricompensa ed ha anche sborsato denaro di tasca propria per riportare in vita quello che altro non era che un perfetto sconosciuto. Sicuramente grazie a tale opera di bontà, la società interplanare tiene in alta considerazione il piccoletto.

- Alla fine sembra che qualcuno ci sia riuscito. Alcuni dimensional hanno trovato il centro del Labirinto, non so che abbiano chiesto nè se abbiano incontrato davvero il Signore dei Gufi, ma almeno sono tornati a raccontarlo, e pare che la storia sia autentica, ho anche comprato quel libro illustrato a mio figlio. Che bei disegni, specie quello dove il Rosso cerca di salvare il suo compagno!

- Falegname un corno! Quello va in giro a distruggere immondi e dittatori e poi dice che costruisce tavoli! Per farti capire: l'altro giorno ho sentito che ha ammazzato un Ultroloth facendolo letteralmente a pezzi! Pare ci fosse in mezzo una qualche principessa rapita e una possibile guerra tra poteri, non ho capito. Dicono che abbia assalito lo Yugoloth senza tregua quando ha sentito la donna chiamare aiuto. La cosa più assurda? dicono che Osborn passasse di lì per puro caso!


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