Gramigna, di razza tiefling, cantrice e danzatrice di allineamento caotico-neutrale.
Il cacciatore umano Gabriel Piccolodente la tolse dai vicoli dove la bimba cresceva coi gatti per portarla a Sepil con sé, giacché egli era dotato di cuore più grande del petto.
La piccola trascorse la giovinezza senza pensieri in spericolata via nei boschi e nel segalino andazzo della campagna, razzolando e arrampicandosi, pressoché in completa solitudine.
Quando le corna assunsero il lucido e i fianchi si assottigliarono e spuntò definitivo il seno la giovinetta prese ad allontanarsi sempre più dalla misera abitazione paterna per andare alla locanda che più l'attirava e dove cominciò a farsi notare per le sue doti innate di intrattenitrice.
Conosciuto un babbo abbastanza ricco da pagarle subito un abito di prima lo seguì a Sigil dove lo spennò fino a ridurlo al dente. Così come l'ape di fiore in fiore va, ella cambiò babbi con fortuna sempre minore fino a che il gioco più non valse la candela che nettare men che poco ci trovava.
Trascorse quindi la giovinezza nelle taverne e nei locali dove per pochi verdi danzava e intratteneva gli astanti con giochi di illusione e prestigio. Basta che non canti, sorellina! Basta che non canti!
Man mano che il carattere prendeva dura consistenza le sue stranezze divenivano sempre meno sopportabili e quanto prima poteva esser carino ora dava in nausea, così lunatica e oscena perse il lavoro alla locanda e man mano non la vollero più neppur le bettole.
Per lungo tempo rimase chiusa in casa al buio a disegnare il buio interpretando le varie tonalità del buio come buio; uscendo solo per rimediare qualche verde da cui spremere vino o meglio sostanza stupefacente.
Quando venne cacciata dal buco dove marciva si trovò definitivamente a rotolare come una pietra per il formicaio. Ora si presenta in terza persona sempre con diverso nome e grado. Non potendo più tenere spettacoli nei luoghi dove si paga prima ella intrattiene per strada e a stesso modo scrive sonetti d'amore per nasidritti, fatture di malaugurio e malocchi, e oscena in modo vario e divertente. Sempre in cerca di babbi da rendere suoi sudditi.
Carattere lunatico al punto di arrivare a contraddirsi anche più volte nello stesso discorso. Egoista senza ritegno. Può essere definita folle. Non conosce vergogna se non quella primordiale della consapevolezza dell'orrore. Ha l'assordante pignoleria di mantenere la parola data in patto, pur arrivando a cavillar le virgole per trarne sempre maggior vantaggio a propria parte. Considerà la libertà personale al di sopra di ogni altra cosa.
Di belle forme, generosa di fianchi ma parca di seno, occhi blu di mare in tempesta, corna di curvatura avversa e coda fiera. I tatuaggi e i segni che porta sparsi per il corpo seguono la distribuzione a caso di cui la sola Natura ha la matrice: ovver neppure lei sa e ricorda cosa siano e quel che vogliano dire. Lavata e ben vestita troverebbe marito nel tempo di quattro passi, certo uno a cui piacciono le corna.
Comunica senso di benessere tipico degli spiriti liberi e al contempo repulsione di chi cavalca il serpente.
Aggiornamenti
Senza voglia e senza impegni l'oziosa si trastulla ciondolando gran bazar in cerca di scintillanti fortune su piatti d'argento portati in spalla da gobbi castrati. Ma è difficile che manna cada da un cielo non cielo, così tra un goccio amaro e un risveglio contorto la sconveniente parte alla ricerca della comunità Xaositecs che pare sia nell'Alveare.
Passeggiare per Sigil è cosa amena, se si pestano le peste sicure, ma assai meno carino e conveniente è metter piede laddove questo viene risucchiato dalla stessa melma fangheggiante che pur pare si nutra di massa semovente.
La furbetta cade nella trappola dei fanghi e resa bella più e più volte, sputata da un angolo all'altro, picchiata e sbattuta, priva di sensi e sentimenti, acciaccata, accartocciata e scornata. Si ritrova, così come quel che dalle nuvole cade, davanti alla porta di una casa all'incontrario dove conosce dritti e storti tra maiali blu che sfiatano prose logorroiche, topi che studiano congegni per non misurare, gorilla con monocoli e bella compagnia di bel genere. Confusa e impaurita ruba a costoro quanti più verdi e calata da una finestra corre verso loco sicuro, una locanda ovvero. Manco completa il terzo passo che alcuni briganti la lessano di fresco e di nuovo la miserella viene schiaffeggiata da sorci e porci crassi e fieli e grissi e sputi e fiaschi.
Camminando coi gomiti arriva indove il prossimo a vista non la picchia e ad allo rivolta chiede almeno uno straccio: in cambio riceve mela marcia ma sempre meglio di una randellata.
Alla prima taverna arriva e poi all'altra e all'altra ancora finché non s'aprono le porte del Viaggiatore Ubiquo dove si ferma a danzare per due verdi e la notte suona.
Qui si rende conto che a cavallo della musica ogni sua stramberia trova giustificazione e l'eccesso e il controsenso sono di casa e bene accetti e pure coccolati.